
3D printed dress: lo stato dell’arte dei tessuti stampati in 3d.
Come la stampa 3d inciderà sul futuro della sartoria.
New York recentemente ha visto sulle sue passerelle sfilate di vestiti stampati in 3d, a testimonianza dell’enorme impatto disruptivo della fabbricazione additiva nel fashion design e nella moda.
Gli autori della collezione totalmente stampata in 3d andata in scena a New York, dal titolo evocativo “Biomimicry”, compongono il trio threeASFOUR. I loro abiti hanno un aspetto etereo e geometrico. Abiti modulari composti di tessuti tridimensionali che rendono i modelli delle eteree creature biomeccaniche. L’aspetto di un abito stampato in 3d è infatti mutuato spesso da esoscheletri e corazze di organismi naturali, animali e vegetali. Ne è un esempio l’abito di trheeASFOUR chiamato “Pangolin“, nome mutuato dal celebre mammifero coperto di scaglie. Una postmoderna corazza degna di una Giovanna D’Arco cyberpunk. Un’armatura dark ma al contempo molto femminile, indossata da Björk recentemente per aprire il suo tour in Australia. Per realizzare le scaglie di Pangolin, i progettisti hanno utilizzato un algoritmo che simula la divisione cellulare per produrre una tessitura interbloccante.
Un altro designer di abbigliamento che sta sperimentando molto nel campo della stampa 3d è Iris Van Herpen. Ha iniziato a presentare la sua moda d’avanguardia ad Amsterdam, per poi passare a Parigi su invito della Fédération Française de la Couture nella stagione primaverile 2011. Il suo lavoro è tecnologicamente avanzato: rosette geodetiche sottili e filamentose, pelli futuristiche che si articolano in intricati arabeschi di polimeri. Van Herpen si ispira, con i suoi abiti stampati in 3d, alla fluidità dell’acqua e dell’aria.
L’Italia sta muovendo i primi passi in questo ambito. Il nostro team di lavoro del progetto Sartoria Digitale ha recentemente sviluppato un abito totalmente stampato in 3d, ispirato alla proliferazione di organismi marini come i coralli.
Tutto questo testimonia come progettare materiali stampabili in 3d adeguati per la sartoria, che si muovono in sintonia con il corpo, è il challenge del futuro, e l’esito renderebbe estremamente allettante la digital fabrication alle grandi corporazioni della moda mondiale. Un caso interessante in questo senso è quello di Aaron Rowley, che nel 2013 ha cofondato Electroloom, lanciato su Kickstarter come progetto per fabbricare tessuti stampati in 3d, ricevendo l’attenzione di molti brand operanti nella moda.
Cosa ci riserva il futuro? L’unione tra migliaia di anni di esperienza riguardante i metodi di tessitura e cucitura tradizionali per produrre vestiti indossabili e resistenti e l’imprenditorialità che cerca di forzare i limiti del tessuto per spingerli verso nuove prestazioni finora solo immaginate potrebbe regalarci molte sorprese. C’è ancora molto potenziale inesplorato.
Come sappiamo il tessuto tradizionale è essenzialmente bidimensionale: i fili sono allineati orizzontalmente e verticalmente, incrociati per formare una tessitura. I tessuti tridimensionali cercano di oltrepassare questo limite, la cui interconnessione è permessa grazie alla stampa 3d.
Un tessuto che si apre al terzo asse, l’asse Z, è un tessuto più traspirante e teoricamente anche più flessibile. Inoltre si abbatte il concetto di piega.
Naturalmente la sfida principale, nell’ambito dei vestiti stampati in 3d, è quella che investe lo studio dei materiali. Il limite di queste eleganti strutture è infatti la rigidità del materiale stesso, composto da polimeri, che di fatto limita i movimenti di chi indossa l’abito. Quando una stampante 3d fonde uno strato sull’altro lega in modo indissolubile il materiale: in un tessuto reale invece le fibre si muovono e “scivolano” l’una sull’altra. Per adesso nella stampa 3d per la sartoria si tenta di bypassare questo limite studiando forme geometriche atte ad agevolare il movimento dei moduli.
Certo è che fino a quando il problema materiale non verrà risolto, gli abiti stampati in 3D continueranno a sembrare più un progetto d’arte che un’applicazione usabile nella vita quotidiana. O potrebbero trovare reali utilizzi come armature contemporanee. La NASA ad esempio sta sviluppando un progetto simile al concept di “Pangolin”: un materiale stampato a piastre 3D per proteggere gli astronauti da contusioni nello spazio.
Lo scenario è aperto, e gli esiti sono molteplici. E’ una partita tutta da giocare, che sicuramente rivoluzionerà il futuro della moda e dell’industria tessile.
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